Gioco, mi diverto, imparo. Il gioco come motore dell'apprendimento

 

TEMPO DI LETTURA: 6 MINUTI

Intervista alla Dott.ssa Nadia Riccioli, fondatrice dell’Ass. Il Mago di Oz Onlus

La letteratura scientifica è unanime nel considerare le attività di gioco molto importanti per lo sviluppo dei bambini: fin dai primi mesi dopo la nascita il bambino inizia a giocare, in parte spontaneamente e in parte perché molto sollecitato da ambiente e adulti. E non potrebbe essere diversamente proprio perché il gioco è il linguaggio del bambino per antonomasia, è la modalità naturale di interazione con il mondo. Attraverso il gioco il bambino sperimenta le relazione, allena le proprie abilità, esplora la realtà e scopre la persona che vuole diventare da adulto.

Avere maggiore consapevolezza del ruolo del gioco nel favorire l’apprendimento può fare la differenza. Il metodo riabilitativo del Mago di Oz parte proprio da questo concetto di base e il lavoro quotidiano che si svolge con i bambini con difficoltà parte proprio dalla convinzione che creare un ambiente positivo, incoraggiante ed emotivamente coinvolgente sia indispensabile per rendere efficace il percorso riabilitativo.

Abbiamo chiesto alla Dott.ssa Nadia Riccioli, Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva e Responsabile dell’Associazione Il Mago di Oz Onlus di spiegare quale valore riveste il gioco in terapia e che correlazione esiste tra le emozioni positive, che dal gioco scaturiscono, e l’apprendimento.

 

D. Perché si gioca in terapia?

Perché il gioco rappresenta la modalità principale attraverso la quale il bambino si esprime ed impara. Utilizzare un’altra modalità al di fuori del gioco sarebbe inutile, come parlare al bambino in una lingua sconosciuta ed incomprensibile. Naturalmente in terapia il gioco è guidato dall’adulto: il bambino durante la pratica riabilitativa viene infatti guidato in un gioco funzionale all’obiettivo che si vuole raggiungere. E l’esperienza piacevole del gioco riscrive i circuiti neuronali e permette al bambino di memorizzare più facilmente quello che noi vogliamo che apprenda. Gioco, sperimento, mi diverto, quindi imparo.

D. Ed è proprio giocando che ad esempio il terapista può costruire con il bambino una relazione forte che è alla base di un percorso riabilitativo efficace….

E’ assolutamente così. Il gioco è un fortissimo mediatore della relazione. Il terapista che accoglie il bambino in un ambiente positivo, a lui familiare, e si mette in comunicazione con lui utilizzando la sua modalità, ovvero quella del gioco, getta le basi per una relazione di fiducia che è il punto di partenza del percorso riabilitativo.  In una relazione basata sulla fiducia  il bambino si esprime più facilmente e mette il terapista nella condizione ideale per interagire proficuamente con lui.

ok.jpg

D. Come dicevamo il gioco guidato viene utilizzato in terapia per raggiungere gli obiettivi stabiliti nel progetto riabilitativo. Facciamo alcuni esempi?

In terapia neuropsicomotoria utilizziamo molto il gioco corporeo per sviluppare diverse abilità. Ad esempio se voglio insegnare ad un bambino a rilassarsi glielo insegno attraverso il gioco del “Correre e fermarsi”. Lo invito a correre velocemente e poi a fermarsi e quando si ferma lo facciamo concentrare sul battito del cuore che gradualmente si calma. Il bambino in quel momento capisce cosa significa rilassarsi e autoregolarsi. O ancora il gioco corporeo può essere più strutturato, per esempio con dei percorsi sensomotori (ostacoli, scale, passaggi in tunnel, etc.) in cui il bambino impara a controllare i suoi movimenti acquisendo maggiore competenza nelle abilità di coordinazione motoria e maggiore sicurezza nel muoversi attraverso lo spazio.

Il gioco di costruzione viene usato molto in terapia per allenare la manualità e la capacità di programmazione e di immaginazione. Nell’esecuzione il bambino verifica costantemente se quello che produce corrisponde all’idea che si è fatto e allena così la flessibilità cognitiva, perché quando il modello reale non corrisponde a quello ideale, il bambino può lavorare sulla sua capacità di essere flessibile e quindi di modificare l’idea o il prodotto.

Il gioco simbolico, il gioco di ruolo, il “fare finta di” racconta tutto il mondo interiore del bambino perché in quel gioco il bambino riporta le sue esperienze e le rielabora. Osservando ad esempio il gioco mamma-figlia, maestro-alunno possiamo capire tanto del suo mondo interiore: quale ruolo sceglie e come esercita quel ruolo ci dice molto della sua personalità e del suo vissuto.  Nella pratica psicoterapica si usa molto per capire la posizione del bambino nel sistema familiare, il suo vissuto emotivo, ciò che lo colpisce di più all’interno di una dinamica relazionale. Una finestra aperta sui pensieri del bambino.

Anche nella terapia logopedica si utilizza molto il gioco, più o meno strutturato a seconda dell’obiettivo che si vuole perseguire, con la possibilità di integrare anche attività motorie all’attività più statica a tavolino. Per esempio per insegnare al bambino a segmentare in sillabe la parola, prerequisito fondamentale per l’apprendimento della lettura e della scrittura, posso invitarlo a fare un gioco motorio: Divido la parola in sillabe e ogni sillaba la associo ad un cerchio a terra, poi invito il bambino a fare un salto nel cerchio della sillaba che gli mostro.

In tutti questi casi abbiamo associato all’apprendimento o al potenziamento di un’abilità un’emozione piacevole data appunto dal giocare e quindi dal divertirsi. Il bambino che si è divertito e ha sperimentato emozioni positive durante l’apprendimento fisserà in maniera più efficace quell’apprendimento.

D. Che ruolo ha l’emozione nell’apprendimento?

E’ fondamentale e potente in maniera opposta se parliamo di emozione negativa ed emozione positiva. Il bambino che viene rimproverato o che si annoia mentre apprende associa l’apprendimento a sentimenti quali paura, vergogna, ansia, noia e quindi non sarà in grado di interiorizzare quell’apprendimento. Al contrario l’emozione positiva funziona da “facilitatore” dell’apprendimento. Facciamo un esempio: vogliamo insegnare al bambino a classificare gli oggetti per colore. Abbiamo due strade da seguire: lo mettiamo seduto al tavolino, chiedendogli di infilare nella scatola gialla tutti gli oggetti gialli e così via; oppure possiamo prendere un sacco pieno di palline colorate, capovolgerlo a terra e coinvolgere il bambino in un gioco che prevede che lui raccolga prima tutte le palline gialle e le metta all’interno del cerchio giallo e così via… In entrambi i casi possiamo insegnare al bambino a classificare i colori ma farlo coinvolgendo il bambino in un gioco divertente ha senz’altro più efficacia perché lega l’esperienza di apprendimento ad un’esperienza di divertimento.